Covid in gravidanza

Complicanze infiammatorie della gravidanza e polmonite da COVID

Cause diverse, uguale meccanismo, uguale terapia.
Responsabilità politiche ed implicazioni medico-legali.

La ricerca medica degli ultimi 50 anni ha dimostrato che le maggiori complicanze della gravidanza, dall’aborto alla morte intrauterina del feto, al parto prematuro, alla coagulazione del sangue nei vasi fetali e materni, sono causate da eventi di natura infiammatoria. I seguaci del mio sito-web ‘Poli-aboirtività S.O.S.’ hanno già familiarizzato col concetto che molto spesso l’infiammazione è causata dal feto stesso, quando non è in grado di contrastare la normale reazione dell’organismo materno verso i cambiamenti vascolari da lui prodotti a livello utero-placentare. Come ho spiegato appunto nel sito, contrariamente ad una errata ma diffusa opinione, la componente genetica di derivazione paterna non è la causa della reazione dell’organismo materno. Inoltre questa reazione non consiste in una produzione di anticorpi (e cioè nell’attivazione dell’immunità umorale) bensì nella liberazione di mediatori infiammatori della immunità cellulare. Essa si verifica dunque normalmente in tutte le gravidanze, ed è compito del feto stesso che la provoca coi suoi villi coriali di tenerla sotto controllo, cioè contrastarla, a proprio beneficio.

L’incapacità del feto di controllare la reazione materna sfocia invece in una infiammazione che innesca a sua volta la coagulazione nei vasi sanguigni dai quali egli riceve l’ossigeno e il nutrimento: per questo il feto può morire, e, se il processo si estende troppo, anche la madre rischia la vita.

Come si vedrà, il meccanismo che si innesca nella polmonite da COVID 19, come in tutte le polmoniti virali, è della stessa natura. Si tratta cioè di una intensa infiammazione prodotta dal virus nelle vie respiratorie del paziente, che, se non viene prontamente curata, innesca una micidiale coagulazione nei vasi sanguigni polmonari. I concetti relativi alla patogenesi di entrambe le condizioni patologiche, e cioè quella ostetrica e quella polmonare, sono noti da diversi decenni, ed entrambe le patologie si giovano della medesima terapia.

Allo scopo di rendere comprensibili le implicazioni pratiche di questi concetti, analizziamo dapprima la strategia attuata dai Responsabili della gestione della cosiddetta pandemia.

L’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO) ed i Sistemi Sanitari Nazionali di tutto il mondo hanno commesso imperdonabili errori che hanno determinato un incremento della mortalità, ed un disastro socio-economico di proporzioni gigantesche. L’incremento della mortalità è dovuto alla mancata attuazione di strategie cliniche adeguate alle diverse realtà sociali. Le Autorità preposte alla salvaguardia della Salute Pubblica si sono infatti limitate a fornire indicazioni inconsistenti sul contenimento del contagio: le famose mascherine e l’isolamento dei cittadini.

L’opinione di una possibile protezione esercitata dalle mascherine contro COVID 19 deriva dalla dimostrazione di Pflugge che le goccioline espulse dalle vie respiratorie degli esseri umani contengono il virus. Sembra dunque logico ipotizzare che le mascherine siano efficaci nel prevenire il contagio inter-umano. Tuttavia questa opinione non è supportata da solida evidenza clinico-scientifica. È stato infatti accertato che il virus rimane attivo per diverse ore nell’aria (anche se si usa il termine ‘aerosol’ per indicare che l’umidità è necessaria per la sua sopravvivenza). Se pure è vero che indossare le mascherine può limitare la inalazione delle particelle virali trasmesse dagli individui sani, e in quantità maggiore dagli ammalati, rimane il problema che esse non sono a tenuta stagna, e il virus presente nell’aria, o come si dice in aerosol, si infila ugualmente nelle vie respiratorie. Con o senza mascherina, una volta entrato esso si moltiplica ed esercita la sua azione patogena: cioè produce infiammazione.

Vi sono altre questioni non risolte riguardo alla diffusione di questo tipo di malattia. La teoria del ‘paziente numero 1’ (in Italia identificato da Sherlock Holmes a Codogno!), cioè del ‘primo ammalato dal quale sarebbero scaturiti tutti gli altri’ per mancato uso di mascherine e di isolamento, è inficiata dalla dimostrazione della presenza di anticorpi anti-COVID 19 nel sangue prelevato da donatori sani prima dell’inizio della pandemia. Ciò significa che il virus già girava nell’ambiente, nell’atmosfera, negli apparati respiratori di altri soggetti sani prima della identificazione del primo ammalato. Unitamente alle considerazioni sulla diffusione nell’aria del virus, bisogna concludere dunque che esso si diffonde contemporaneamente in molti soggetti, i quali continuano tranquillamente a liberarlo nell’aria. Solo in tal modo si può spiegare la positività dei tamponi in luoghi nei quali non vi sia alcuna evidenza di contagio inter-umano diretto. Il COVID 19, inoltre, se pure predilige la localizzazione nelle vie respiratorie, non ne disdegna altre, come ad esempio quella nell’intestino, dove provoca manifestazioni morbose per fortuna meno gravi.

La libera trasmissione dei virus, di tutti i virus, dalle più diverse fonti ed attraverso le più diverse vie è del resto ben nota, e confermata scientificamente. Ad esempio, è stato dimostrato (Elena Percivalle, et Al.  Prevalence of SARS-COV 2 specific neutralising antibodies in blood donors from the LODI RED ZONE in Lombardy., Italy as at 06 April 2020 Euro Surveill. 2020 Jun 18, 25(24):2001031) che nel sangue dei donatori sani si riscontrano sia gli anticorpi specifici contro il virus SARS-COV2 che le particelle virali stesse. Inoltre il gruppo di ricercatori del quale faccio parte ha dimostrato che durante la gravidanza tre virus oncogeni (cioè in grado di innescare la formazione di tumori maligni) si trasmettono dalla madre al feto, e si riscontrano nei villi coriali e nel sangue del cordone ombelicale (Elisa Mazzoni, et Al. Mother-to-child transmission of oncogenic polyomaviruses BKPYV , JCPYV and SV40. Journal of Infection, 2020). In questo studio ne abbiamo trovati solo 3 perché ne abbiamo cercati solo 3. In un’altra ricerca abbiamo invece dimostrato la presenza di virus del papilloma umano (HPV) nei villi coriali e nei monociti del sangue periferico, e gli anticorpi specifici anti-HPV nel sangue di donne in gravidanza (Mauro Tognon, et Al Investigation on spontaneous abortion and human papillomavirus infection. Vaccines  (Basel) 2020 Sep; 8(3):473). Ovviamente la presenza del virus non implica di necessità la malattia: esistono i ‘portatori sani’, ed appunto le madri e i bimbi risultati positivi erano esenti da tumori e godevano di ottima salute. È necessario difatti il concorso di numerosi fattori, e spesso di errori nell’assistenza medica (come nel caso del COVID 19), perché si verifichi la malattia e la morte. Del resto la libera diffusione delle particelle virali nell’ambiente in cui viviamo da millenni indica che la eventuale negatività dei tamponi largamente utilizzati in questi mesi non esclude che i soggetti testati possano risultare positivi ad un nuovo test effettuato successivamente.

A queste considerazioni sulla libera e inarrestabile circolazione di tutte le particelle virali, COVID 19 incluso, bisogna aggiungere che l’esperienza italiana nella gestione della pandemia depone contro l’efficacia protettiva delle mascherine. Difatti nel nostro Paese, dal Nord al Sud, e alle Isole, tutti sono stati costretti ad indossarle, ma i circa 50.000 morti si sono concentrati prevalentemente in sole quattro Regioni del Nord: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Queste sono le Regioni più ricche, le più industrializzate e le più inquinate. I mass media affermano che l’organizzazione sanitaria in queste Regioni è la migliore d’Italia. Tuttavia esse hanno ottenuto il risultato peggiore al confronto con gli altri Paesi. Nonostante l’uso delle mascherine e il frequente lavaggio delle mani, più di 150 medici sono morti, la massima parte dei quali in queste Regioni. Durante le fasi iniziali di blocco della libera circolazione, alcune centinaia di Italiani, sfuggiti ai controlli, si trasferirono dal Nord al Sud, e furono accusati di diffondere l’infezione, ma ciò non avvenne: cioè a seguito di questi trasferimenti non si osservò una impennata delle infezioni da COVID 19. Osservatori internazionali furono inviati al Reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Cotugno di Napoli, diretto dal dottor Ascierto. Questi era nel suo campo una autorità di fama internazionale, ma incredibilmente fu accusato di ‘provincialismo’ da un operatore sanitario di cui per decenza ometto il nome. Lo scopo dell’invio degli osservatori era di capire come mai in quel reparto, diversamente da quanto accadeva nelle regioni falcidiate del nord, nessun operatore sanitario si era ammalato nel corso della pandemia. La ragione è che nel reparto del dottor Ascierto i soggetti sani seguono scrupolosamente percorsi protetti ed obbligati, ed inoltre indossano tute e caschi che li isolano completamente dall’ambiente circostante pieno di virus. Come è possibile che un reparto trabocchi di una carica virale superiore alla normale diffusione del virus nella popolazione? Semplice: basta concentrare nel suo spazio limitato centinaia di individui con una carica virale nettamente superiore a quella della normale diffusione. Come si possono ottenere soggetti con una carica virale così alta? Semplice: invece di trattarli ai primi sintomi di malattia, è sufficiente lasciarli a casa per qualche settimana con febbre alta e senza cure, ed ospedalizzarli solo quando la carica virale abbia aumentato l’infiammazione fino al punto del soffocamento conseguente alla coagulazione sanguigna nei vasi polmonari.

I virus della polmonite (di tutte le polmoniti) non uccidono direttamente: lo fanno attraverso l’infiammazione e la coagulazione. La gerarchia politica sovrapposta al sistema sanitario non è in grado di capire questo concetto, ma anche molti medici non ne sono capaci. Forzati a seguire linee guida fuorvianti o errate imposte dall’alto, essi non sono più in grado di ragionare col proprio cervello. Le gravi conseguenze provocate dal sovrapporsi della coagulazione all’infiammazione sono invece ben note in medicina, e prendono il nome di ‘Sindrome dell’Infiammazione sistemica dell’adulto, e durante la vita intrauterina di ‘Sindrome della Risposta infiammatoria Fetale Sistemica’. Dunque, la morte da Polmonite virale, che sia causata da COVID 19 o da qualunque altro virus, riconosce la stessa patogenesi della morte fetale: nella polmonite è un problema di infiammazione e coagulazione nel polmone, esattamente come accade in gravidanza a livello utero-placentare: la placenta infatti può essere considerata il polmone del feto, perché è per suo mezzo che il feto respira. Nella polmonite virale non esiste la possibilità di evitare la causa, e cioè il virus, a meno di girare per sempre in tutti i luoghi della terra isolati dall’ambiente esterno, come accade con successo nel reparto del dottor Ascierto. Invece la cura per arrestare il meccanismo patogenetico esiste, è efficace, ed è la stessa dell’infiammazione fetale sistemica. Infatti i farmaci in grado di prevenire e curare l’infiammazione e la coagulazione sono ben noti ed ampiamente usati con successo in gravidanza, anche se essi non sono chiaramente espressi nelle linee guida, a causa della lentezza con cui la conoscenza diviene patrimonio della comunità. Questa è la ragione principale per la quale io seguo le mie linee guida personali, e non quelle suggerite dalle Società Scientifiche.

Per quanto riguarda invece le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), ciecamente seguite da larga parte del Sistema Sanitario del Nord Italia, nella totale ignoranza della clinica delle polmoniti e della micidiale sovrapposizione della coagulazione alla infiammazione, sembra che la parola d’ordine fosse ‘attendere la scoperta di un vaccino’, perché ‘essendo il virus sconosciuto, non esiste altra misura possibileda adottare contro di esso che il vaccino’. Ma come ho spiegato sopra, benché palesemente inefficaci, la mascherina, il lavaggio delle mani e l’isolamento sono misure indirizzate alla prevenzione del contagio e non alla cura della polmonite. Dunque limitarsi ad adottare le misure imposte dai Responsabili equivaleva per gli ammalati ad una condanna a morte. Tuttavia vi sono state fortunate eccezioni. A causa della mancanza di posti letto negli ospedali di Bergamo e Brescia, alcuni ammalati sono stati trasferiti a Pavia, altri a Mantova, dove le linee guida del Governo erano seguite per quel che valgono. I Direttori dei Reparti di Pneumologia di questi ospedali li hanno curati, fra l’altro, con trasfusioni di siero ‘iper-immune’, cioè ricco di anticorpi contro il virus, in quanto ottenuto da soggetti guariti dalla malattia: in questo modo le loro vite sono state salvate. Quando la notizia si diffuse il Direttore del Reparto di Pavia, professor Cavanna, fu invitato a testimoniare in Parlamento, e, mentre molti pazienti continuavano a morire, finalmente, poche settimane dopo, il Governo, a seguito del pronunciamento di un organismo denominato AIFA, consentì l’uso di queste terapie note da circa un secolo, ma, si badi bene, solo a scopo sperimentale!

Un ulteriore errore sconcertante è stato commesso, forse in buona fede, da quella che passa per ‘scienza medica ufficiale’. Allo scopo di rafforzare la debole tesi che nessuna terapia sia giustificata in attesa del vaccino, un prestigioso giornale scientifico ha pubblicato un articolo contrario all’uso dell’idrossiclorochina nella terapia della polmonite virale. Tuttavia il farmaco era stato già adoperato con successo in tutto il mondo. Inoltre il disegno sperimentale dello studio era errato e i risultati erano inaffidabili. Ci sono state vibrate proteste e l’articolo, che era stato frettolosamente accettato da Revisori in altre circostanze rigorosissimi, è stato immediatamente ritirato con vergogna! A questo punto bisogna anche dire che, accanto a questo caso clamoroso, continuamente la scienza medica (e non medica) si smentisce, e lento e faticoso rimane il processo della ricerca della verità.

Sicurezza ed efficacia dei vaccini

È di questi giorni la polemica resa pubblica dai mass media riguardo alle dichiarazioni del dottor Crisanti contro la ventilata obbligatorietà della vaccinazione anti-COVID 19. Il microbiologo, nell’affermare che, come gran parte della popolazione italiana, egli non vi si sottoporrà, richiama l’attenzione sui seguenti punti:

  1. i dati sulle complicanze a breve termine del vaccino non sono stati resi pubblici, e dunque non sono stati validati dalla Comunità Scientifica Internazionale;
  2.  le complicanze a lungo termine non sono note, a causa delle insolitamente rapide procedure adottate per commercializzare il farmaco;
  3. invece di criticare la sua ovvia e legittima posizione, il dottor Crisanti invita ad aprire un dibattito sui 15.000 morti in eccesso provocati dalla fallimentare gestione della pandemia in Italia.

A proposito del primo punto, e cioè delle complicanze a breve termine, è filtrata la notizia che si sono verificati due casi, a breve distanza l’uno dall’altro, di una grave infiammazione del midollo spinale: la ‘mielite trasversa’, che avrebbe una incidenza di 1/100.000. Ma due casi a distanza di pochi giorni indicherebbero nella sperimentazione del vaccino una incidenza ben più elevata. In occasione di entrambi questi casi, responsabilmente la Ditta produttrice del vaccino (Astra Zeneca) ha sospeso gli esperimenti allo scopo di procedere alle necessarie verifiche. Tuttavia, nell’arco di qualche giorno è stata diffusa la notizia che il vaccino adoperato non era avariato! Ho tenuto a riportare queste informazioni perché le risposte ricalcano perfettamente quelle fornite in passato a seguito di una alta incidenza di morte dopo vaccinazione anti-influenzale. Allora come adesso fu frettolosamente diffusa la notizia che la partita di vaccino incriminato ‘non era avariata’.  Ovviamente questo non esclude affatto che la morte fosse stata provocata proprio dal vaccino, e proprio innescando la polmonite che avrebbe dovuto invece prevenire. Viene da pensare che sarebbe stato meglio se il farmaco fosse risultato avariato, perché l‘intossicazione avrebbe avuto forse conseguenze meno gravi!

Bisogna considerare che ai rischi della frettolosa commercializzazione si aggiunge la totale mancanza di dati sull’efficacia clinica del vaccino. A questo riguardo infatti gli sperimentatori accreditano una efficacia fra il 70 e il 95%, ma questi valori riguardano la produzione di anticorpi contro alcuni (3 o 4) dei numerosi antigeni contenuti nel virus vero e proprio, e non invece (come sarebbe necessario) la capacità di prevenire la malattia. I dati sulla incidenza della polmonite nei soggetti vaccinati a scopo sperimentale non sono stati resi noti. Mancano anche quelli relativi alla incidenza ed alla gravità delle polmoniti nei soggetti vaccinati contro le altre forme di influenza. Alcuni medici di base affermano che si tratterebbe di forme meno gravi rispetto a quelle che si verificano nei soggetti non vaccinati; oppure che il virus responsabile della malattia sarebbe diverso da quello contro il quale il soggetto era stato vaccinato: affermazioni entrambe prive di alcuna prova scientifica. 

Responsabilità politica e responsabilità giudiziaria

Sembra che sul piano politico l’unico strumento di Giustizia sia il giudizio degli elettori, e cioè il voto. La possibilità di perseguire penalmente o civilmente i politici responsabili del disastro sanitario e sociale sembra sia stata esclusa all’origine, attraverso la promulgazione di provvedimenti legislativi speciali, giustificati dalla emergenza ed avallati dal Presidente della Repubblica.

Invece diversi procedimenti giudiziari per la morte di pazienti durante la pandemia sono in corso nei Tribunali italiani. Si pensa che nelle Case di Cura private l’uso delle maschere e l’isolamento dei malati siano stati applicati in maniera non corretta, in ritardo o niente affatto. Tuttavia negli ospedali pubblici è accaduta la stessa cosa, e dunque anch’essi dovrebbero essere citati in giudizio. Poiché la causa di morte non è la mancanza delle maschere o dell’isolamento, ma il mancato ricorso tempestivo alla terapia medica adeguata, è questo secondo aspetto a dover essere esaminato nei procedimenti giudiziari. Le maschere infatti non esercitarono nessuna azione preventiva, come è dimostrato dai risultati disastrosi ottenuti dalla strategia attuata dal Governo; e tanto meno potevano esercitare alcuna azione curativa, di cui sono totalmente sprovviste.

I politici non hanno colpa diretta per le morti da coronavirus. Il loro errore è stato di aver dato credito ad esperti e scienziati inadeguati. I virologi sono adatti ad argomentare sulla trasmissione del virus dal pangolino o dal pipistrello, gli epidemiologi possono eseguire proiezioni statistiche da verificare poi sulla base dei fatti, ma la cura dell’infiammazione e della trombosi non è di loro competenza.

Il compito di tutelare la salute di un intero popolo appartiene ai clinici. Nel caso della polmonite occorrono esperti nella terapia delle gravi forme di Sindromi infiammatorie sistemiche dell’adulto.

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